Mentre scrivo al pc, sorseggio un caffè americano. Mi aiuta a tenere il ritmo con le parole che scelgo di condividere con chi mi leggerà.
Intanto ti ringrazio per essere qui con me.
Le mie anime
Mi chiamo Verusca e ho due anime professionali: quella che comunica con le parole su uno schermo - come copywriter e traduttrice - e quella che accompagna in percorsi di cambiamento personale - come Life, School e Medical coach.
E poi c’è l’anima e basta: quella che condivide riflessioni dentro un blog, Biocaffeina, e poesie dentro raccolte di carta. La libertà espressiva che più mi rende felice.
Oggi, dopo aver soddisfatto l’anima professionale di traduttrice, ho deciso di dedicarmi un po’ alla mia anima e basta: ho preso il portatile e mi sono sistemata dentro una deliziosa caffetteria francese in via Teodosio (la Francia a Milano!), su un comodo tavolino di legno, sopra una sedia rosa – e ho iniziato a scrivere su Substack, per la prima volta.
Perché?
Perché ho trovato il coraggio, per prima cosa. Il coraggio di condividere i miei pensieri e qualche verso di poesia su questa nuova piattaforma.
Il coraggio
Il coraggio, questo (s)conosciuto. Per anni mi è mancato un coraggio grande: di essere me stessa. Ora, nella mia post-adolescenza di neo 51enne, sorrido alla me di allora, che si sentiva sempre fuori luogo e “diversa”, e per questo cercava di adattarsi alla maggioranza. Per esempio: uscire dopo cena per un drink, a 20 anni, anche se avrei voluto starmene sul divano a leggere o guardarmi un film. Ma era l’età dell’ “io come loro”, della compagnia che sognavo di avere da tanti anni, il gruppo di amici e amiche con cui uscire, che passavano a prendermi in auto per andare al pub del paese vicino.
Ricordo il punto di non-ritorno con quella fase della mia vita, quando ho raccontato al tipo con cui uscivo, il belloccio della compagnia, che avrei fatto un’esperienza di qualche mese a Londra come ragazza alla pari, e lui mi ha risposto così: “Ma perché andare a Londra, non ti basto io qui?”
No.
Non mi bastava, ma ancora non lo sapevo, che non mi sarebbe bastato, né allora né da adulta, stare dentro un rapporto d’amore senza avere la possibilità di continuare a esplorare il mondo fuori con i miei viaggi in solitaria. Dopo le sue parole, sì, mi sono sentita (ancora una volta) “diversa”. Con la consapevolezza di oggi, sorrido e mi chiedo: Ma diversa da chi, da cosa?
Diversa… in poesia
In piena pandemia, nel 2020, esprimevo questa mia presunta “diversità” con questi versi poetici:
Tu non stai dentro
i margini dello schermo.
Sulla superficie liscia
del computer ti stendi
ad onde
che oltrepassano i bordi.
Donna non piana ma piena
di voci e forme
fantasie e colori
che accendi al bisogno.
Nel sonno
la notte
rincorri figure
graziate e lineari
per imparare a stare
come loro nei bordi.
Le figure che insegui
sono cifre global
di mondi risolti
privi di virus
levigati
e ben inquadrati
nella vita,
segnali di riuscita.
Sono tratti da una poesia pubblicata dentro l’antologia Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete, uscita nel 2022 per Punto a capo Edizioni, a cura di Alma Poesia.
Il dialogo con
Spesso quando scrivo poesia, creo un dialogo con un “tu” che poi sono io – io che parlo a me stessa. Parlo alla parte più vera di me. Riconosco di essere non piana ma piena/di voci e forme/fantasie e colori che magari confondono chi mi sta attorno –perché non riescono a inquadrarmi in una “forma” e “voce” unica. Confondo perché non si capisce bene come vivo – che lavoro faccio (ma come, non fai più l’insegnante??), dove vivo (ma come, stai per lasciare Milano??) o con chi (Ma per caso ti sei fidanzata??).
Riuscire … o no?
Nella poesia, inseguo “mondi risolti” “levigati e ben inquadrati” “segnali di riuscita”.
Ma questi mondi risolti sono davvero segnali di qualcosa che è riuscito bene? “Riuscire bene”, poi, cosa vuol dire, se non “secondo i canoni standard della società”, dunque, nel mio caso: sposata con casa e auto con figli e figlie con lavoro fisso e ferie pagate.
Questo “riuscito bene” è tutto quel che io NON sono. E va bene così. Mi rendo conto di condurre una vita diversa dalla maggioranza (se solo penso ai miei oltre 20 traslochi in 20 anni!), che però io trovo “originale”. Ho una vita che non copia la vita di altre persone attorno a me, e si alimenta della propria unicità (e autenticità).
Spunti da una CopyCoach
Come copywriter e traduttrice, mi verrebbe da sussurrare: facciamo attenzione all’uso della parola “diverso/a”. Contestualizziamolo, sempre, come ho fatto io poco fa, “diversa rispetto alla maggioranza”.
Come coach, mi verrebbe invece da esclamare: individuiamo la nostra “originalità” rispetto al mondo attorno, riconosciamola e amiamola, come un fascio di luce che si accende con la nostra presenza unica, irripetibile.
Ti va di leggermi ancora? Intanto ti do appuntamento qui a breve per altre riflessioni, altri versi di poesia.
Se vuoi leggermi altrove, scrivo sul mio blog
Se invece vuoi contattarmi per altre cose (lavori di scrittura, percorsi di coaching), mi trovi qui:
Ti auguro una giornata originale!
Verusca
Riuscire bene è tutto ciò che ci appartiene. Solo che non è sempre facile riconoscere o concederci quello che ci appartiene, soprattutto se va contro corrente. Mi è piaciuto molto questo tuo ingresso audace su Substack. Raccontare chi siamo è un atto di coraggio e ha tutta la forza dell’autenticità.
Grazie per questa tua condivisione che mi ha aiutata a fare pace con il mio “sense of purpose”.
Il percorso della consapevolezza... di essere, non diversi, ma originali, essere se stessi... Grazie Veru per questa bellissima condivisione.